Dall'iride in riva al mio sole

Frammenti, licenze, riscatti e riassunto di impegno

1977-2008

Una sensualità che si rivolge al cielo

Cesare Ravasio è un pittore che fa della sua sensualità una forza creativa, una ragione di vita e di motivato orgoglio.

Le sue opere ci raccontano di questa sensualità travolgente e al contempo innocente.

I colori erompono dalla tela nella purezza della loro simbolica necessità e nelle varie forme che l'autore ha deciso di far emergere, sempre spinto tuttavia da una pulsione erotica che se venisse a mancare determinerebbe il declino immediato della sua inarrestabile produzione.

La sensualità di Cesare Ravasio non è una sensualità di bassa lega: egli la coglie soprattutto nella bellezza dei paesaggi, dei luoghi che ama e corteggia con la costanza e l'assiduità di un amante appassionato e sincero,con la certezza di essere ricambiato: con la disparità generosa che solo lo spirito che vivifica la natura è in grado di esprimere.

Non teme mai di cadere nella banalità questo pittore che conosce uno per uno tutti i suoi quadri, sono innumerevoli come le stelle del cielo, e le stelle che non si vedono ( molte di più di quelle che vediamo) sono le opere ancora da dipingere: già esistenti e accatastati con ordine dietro il sipario del suo sguardo innamorato della luce e di tutte le chimere che la luce inventa quando il desiderio la rapisce e la trascina nel mondo per la nostra maggiore consolazione.

Ma la luce, attraversando l'avanguardia spirituale dell'occidente, non si è limitata alla creazione armonica delle forme e dei colori, essa si è fatta carne: si è materializzata nel bagliore più umano della parola, e così ha inondato gli abissi insondabili del cuore.

Tutto questo, Cesare Ravasio lo ha saputo cogliere nella necessità di accompagnare con le parole le forme e i colori delle sue opere.

Sono ben pochi infatti i quadri non correlati da brevi o più lunghe frasi in cui un abbandonarsi di parole conchiude il gesto d'amore rappresentato in ogni tela.

Di sole parole,inoltre, egli ha dipinto altri "quadri", accompagnati doverosamente da riproduzioni di immagini dipinte.

Si può aggiungere a questo proposito che, cimentandosi con le forme ed i colori, Cesare Ravasio compie degli atti di fede al Dio dell'arte che egli ama al di sopra di ogni altra cosa, e poi, con le parole, celebra questi incontri che sono sempre gli incontri felici di due entità che si amano alla follia.

Riprendendo il tema della banalità e del pericolo che essa rappresenta per ogni artista, si evince, attraverso la testimonianza di Cesare Ravasio, il discrimine, con il talento e l'entusiasmo che ne consegue, che non permette alla banalità di pregiudicare la bellezza dei suoi quadri.

I suoi velieri,dunque,navigano sicuri nelle procelle e nelle insidie dell'immaginario collettivo; condotti da nocchieri sordi, per natura, al canto delle sirene che fa naufragare il popolo intero dei marinai dell'arte odierna.

Questo banale riferimento al mito basilare di Ulisse, mi permette di traghettare su queste pagine il conseguente percorso in solitaria di questo navigatore di tramonti,di questo Icaro dalle ali autentiche e non di fragili marchingegni di più mi rubate e di cera.

Cesare Ravasio ha le ali e sa volare in alto su vento di parole e correnti ascensionali di forme e di colori.

La spinta iniziale dei sensi perde, salendo, la zavorra della volgarità, acquistando purezza, leggerezza e la natura angelica che si consegue soltanto con uno sforzo costante e con la grazia del talento.

La pulsione d'amore di Cesare si irradia come un sole interiore su tutte le cose che lo circondano: oggetti, scorci, angoli caratteristici, visioni, persone, paesaggi, sogni, desideri, canzoni, incontri, delusioni, amarezze, fascinazioni, incanti, riflessioni,disappunti...e le inevitabili scene del risentimento che ogni essere umano è condannato a rappresentare nel flusso incessante della coscienza.

Tutto alla fine si condensa in lui, davanti all'ultima tela da rifinire, nel caleidoscopico atelier di Spotorno, circondato dall'ammirazione ingenua dei turisti e da quella più consapevole e affettuosa della sua musa ispiratrice.

Infine, il quadro da dipingere è quello della propria vita.

È il quadro più difficile, è l'opera che richiede maggiore attenzione.

Ci sono colori che richiedono spargimento di sangue, colori oscuri che esigono prove strazianti e indicibili.

L'ipersensibilità dell'artista (incomprensibile alla maggior parte delle persone e per questo generalmente disprezzata) accentua parossisticamente il dolore delle ferite, la lunghezza delle convalescenze, il disagio sconvolgente delle delusioni.

Per contro, ci sono i colori felici del popolo numeroso delle gioie e dei piaceri leciti: i colori dell'amicizia, di una buona musica, di un paesaggio insolito e sorprendente, di un'ottima cena in alto sul mare.

I colori felici del successo meritato, di un affetto sincero e già ricambiato ancor prima di comparire; il colore dei colori che è la certezza di essere nel giusto, al di là delle intenzioni di delineare una strada di comodo verso un improbabile destino di felicità universale.

La tela che ci è stata consegnata, sarà alla fine ritirata dalle nostre mani e giudicata.

Il criterio della bellezza è imprescindibile, ma sarà anche imprescindibile la serietà con la quale abbiamo affrontato la prova.

Cesare Ravasio non teme alcun giudizio, e tanto meno il giudizio universale.

Nella cosciente predilezione del mistero che ci circonda, egli ama con tutto se stesso la strada di luce e di vita che gli si è svelata precocemente e che ha imboccato senza esitazione, anzi con entusiasmo, passione e la sensualità di un talento che rimanda ad altre epoche e ad altri spessori artistici e umani.

Questo discorso intorno all'opera di Cesare Ravasio sta volgendo al termine e sembra voler tramontare inesorabilmente in un assemblaggio di cieli incorniciati,che vanno dai rossi di Venezia a quelli sognati di questa Liguria di Ponente: scrigno apparentemente modesto che tuttavia custodisce tesori e splendori inestimabili.

Da qualche anno, tra queste gioie nascoste, è venuto a mimetizzarsi anche il talento felice di Cesare Ravasio.

Perla tra le perle, ma perla scaramazza, egli si distingue, orgoglioso di quel deragliamento della sfericità che diventa ulteriore motivo di bellezza.

Ho conosciuto Cesare Ravasio ancora ragazzo ( così come lo si può vedere nella fotografia del catalogo " Tanto he soñado la belleza que mi mirada está llena de belleza"), quando ancora si dibatteva vittoriosamente nelle panie mortali dell'Accademia Carrara di Bergamo.

La sua insofferenza salutare ebbe modo di esprimersi in azioni che destano ancora il mio stupore e la mia ammirazione: gesti dirompenti di comprensione feroce e di ripulsa che denotavano il suo valore esente da confusione, e la inevitabile decisione di andarsene e di proseguire in totale solitudine la sua strada.

Un giorno, al pari di Gulliver alle prese con i Lillipuziani che lo volevano ancorare a terra, ruppe la fragile ragnatela dell'irrealtà accademica e prese il largo verso un destino glorioso di viaggi e di avventure...!

                                                                                                     Beppe Agosti

                                                                                                      Novembre 2008

 

Una pittura a carattere prettamente rievocativa e, nello stesso tempo, basata su evidenti simbolismi possiamo definire quella attuata da Cesare Ravasio.

I ricordi della sua infanzia trascorsa tra i vecchi casolari della nostra collina bergamasca sono rimasti intatti nella memoria di Ravasio e ora ritornano alla luce attraverso immagini pittoriche realizzate sulla tela. Sono ricordi di ambiente, di oggetti, che per noi sono orami in disuso, di sogni cullati nel tempo e, poi, certamente realizzati in gran parte nell’allegoria di colombe in volo e di alberi fioriti al primo accenno di primavera. Una sequenza di sensazioni, come si può notare, in alternanze continue tra simbolo e realtà, figurazioni di cascinali, antiche fattorie, chiese sul monte, e volti di donne, mazzi di fiori, nature morte. Il tutto per unificare la gioia di ricordi passati, che forse è rimpianto, e il momento presente che si illumina di nuove luci per un futuro altrettanto gioioso. Un messaggio di speranza che si apre alla certezza.

Sul piano stilistico rileviamo in Cesare Ravasio un impegno ed un risultato oltremodo apprezzabile e, per molti versi, lodevole. C’è nella sua pittura un disegno eseguito con accuratezza e precisione nel rispetto delle severe norme della prospettiva, e nel colore una ricerca di tecniche personali che risultano assai efficaci nel contesto e nell’armonia tonale. In particolare va sottolineata la diligenza del tratto che si moltiplica in continuazione così da dar rilievo all’immagine e per maggiormente evidenziarla.

                                                                       Lino Lazzari

                                                               1989 

 

Sentieri di Langa

Forse le nuvole e il buio partono ancora da lontano.

La signora mi dice: “Oggi ci porta via il vento…”

Cosa c’è in quest’aria? Ci ascoltiamo, lei è veloce , fresca e leggera, ha il profumo dei boschi, di lillà, di primavera.

Con chi andremo via? Con chi domani passeremo lungo i sentieri?

Lui gira lo sguardo, si accende la sigaretta e il vento ci passa sopra.

Le colline sono di fronte a noi, rotonde, hanno fianchi di giovani donne, e noi siamo come quel gatto che osserva l’orizzonte in fondo al cielo. Siamo passi leggeri tra i filari attraversando la vita.

Alessandro mi guarda, è come se io non me ne accorgessi.

“Oggi – dice la Signora – c’è il vento che ci porta via” e chissà se le nuvole e il buio partono ancora da lontano.

L’aria, che ci accarezza, viene piano piano dal mare, sfiora le colline e si ferma sui tralci di vite, su una pianta di rosmarino, avvolge un rastrello appoggiato all’uscio, canta con i grilli della sera, si accende con i primi falò al crepuscolo.

È passato qualcosa, è passato qualcuno. Dal paese di Santo Stefano, da Canelli è giunto fino a noi con il rumore delle martinicche, fra i rami di un autunno unito alle nostre passeggiate sulle colline, nella riva sotto il Salto, nelle gaggíe lungo il ponte, sui bricchi colpiti dal sole.

Eppure un’ombra mi sfiora, dialogo con chi strappa ciuffi d’erba secca,è tutto qui il nostro paradiso, i mari del sud, tutto qui.

Guardiamo Moncucco, una cima più alta, osserviamo la piana di Belbo, la casa di Nuto; quante storie c’erano anche allora: il clarino che suona alle feste, la pialla che indurisce le mani…

Mentre in valle corre un ruscello parlante, una folata di vento ci investe, ed io subito penso: “Chissà chi la cambia l’aria dell’universo...!”

L’estate ci coglie distratti a fissare lucertole e vigneti color verde rame; i gerani di Nuto, il suo glicine nervoso dicono molto più che parole.

Si vedono bene ora che siamo su un’altra costa; il sentiero scende in valle e tra gli alberi ci segue la torre di Roccaverano, di Neive, di Barbaresco; i campanili di Canelli, la misteriosa Lunetta e il bricco di Serralunga sono già lontani...

Uno sciame d’api, i salici piangono con la prima luna, l’aria della sera, i sassi rotolati, le rane dietro le albere di Belbo, i girasoli che danzano al ritmo del vento, il nettare di un’età, ogni stagione ha le proprie fantasie.

Qui dove abita il tempo, dove i carri riposano sotto i noccioli, mi accorgo che adesso Alessandro mi guarda e scuote la testa, sento la signora che ripete: “Oggi c’è il vento che ci porta via…”

Quante storie c’erano anche allora; chissà se ora il buio e le nuvole partono ancora da lontano…!

Qualcuno mi chiama, giro lo sguardo e sento che oggi non è solo quel vento a portarci via...!

                                              Cesare Ravasio

                                                   Aprile 1992

 

LA CASA SULL’ARGENTARIO

Incontravo un’ombra, tra il cipresso e il cancello di punte rosse, quell’ombra non era altro che mio padre.

Lo incontravo in quella casa sull’Argentario dove si perde il mare, galleggiano i confini.

La tua mano di ragazza mi prese per mano, quel giorno in cui lentamente una nuvola sospesa innaffiò il nostro intenso amore, quante cose cambiano nella villa sull’Argentario, Dio lo sa quanto ho camminato per giungere a te.

Passeggiavo per il viale alberato, non ricordo se d’estate o d’autunno o forse non c’era stagione in quel rifugio sull’Argentario, tutto si faceva stagione, le novelle rose sbocciavano in inverno, la priva neve nel mio cuore cadde in aprile, quell’aprile mi gelò il sangue mi fermò le stelle negli occhi, mi regalò nuove emozioni.

Dove incontravo un’ombra, tra il cipresso e il cancello di punte rosse, ora esistono sterpaglie, rovi e piante millenarie, il riflesso della neve rende il cielo più alto, più sicuro.

Nella casa sull’Argentario si odono voci, respiri, c’è un lieve sussurro, l’aria è la stessa calda e leggera, le riflessioni e le nuvole si capovolgono tuffate nel mare.

Vivevo estati di sapori in quegli anni, il mio respiro era una cosa sola.

In quella casa c’è una ragazza dai mille colori, due tazze da tè, una finestra che sbatte, una nuova luce, una farfalla, mio padre, un’ombra cara e antica che mi attendono…!

A mio padre

Cesare Ravasio

                                                                              Ottobre 1997

 

Lunari nostalgie intimistiche

Avevamo avuto modo di incontrarci, Cesare Ravasio ed io, nel corso di una comune collaborazione artistica al quotidiano " L'Eco di Bergamo" e fu nell'occasione che ebbi un gradito invito per una sua "personale".

Giunta in galleria (erano ormai trascorsi alcuni giorni dall'inaugurazione) mi trovai in un aspettato "trompe d'oeil " di colori, di luoghi e di luci: un onirico che in corrente ascensionale si librava in guizzi verso la luce e meglio ne compresi l'etica ispiratrice quando nella monografia di Ravasio lessi l'interpretazione di Marcos Gonzales: "coriandoli soffiati via dal vento ".

Vi aleggiava l'aria della Spagna e della Costa Mediterranea con sogni di impossibili castelli sormontati da azzurro e grigio, di rami tra il cristallino di nuvole filtrate dal sole e tra gli acrilici e gli olii: le Langhe, le nostre Langhe piemontesi, ma anch'esse calienti in diluvi di rossi, di bronzi, di ori, del viola di uve mature, tra intervalli di girasoli sfatti, clarini, melagrane mature nel languore di torride estati.

Era indubbiamente un Ravasio vicino allo spirito di Cesare Pavese quando scriveva: " Anche noi a fermarci a sentire la notte nell'istante che il vento è più nudo, le vie sono finalmente fredde di vento, ogni odore è caduto e le narici si levano verso la luce".

Erano Pavese e Ravasio in connubio di ricordi, di immagini impresse indelebilmente nella mente e nel cuore e sublimati dalle lontananze della meditazione, in ambedue, dall'eterno dilemma dell'essere e del non essere...!

Allora non potei tralasciare, ed osai chiedere a Ravasio di lui e della sua arte.

Fu da prima riottoso come un cardo, poi proprio come il cardo si aprii rivelandosi insieme misterioso e generoso, quasi geloso di sè nel timore di un tradimento: forse meglio dire di essere frainteso e sognatore come un fanciullo che cerca la luce e la gioia per donare luce e gioia...!

Ravasio, che va inventandosi colori su colori per rivelarsi e nascondersi insieme.

Non è certo a caso che pongo accostamenti poetici perché, leggendo le monografie di Ravasio, lo scoprii poeta della parola oltre che del colore.

Va egli infatti postillando, e anche oggi lo vediamo, le sue opere in un gioco di parola-colore con dentro nuvole, musica, gli amici, i luoghi che incontra e il suo conversare con le farfalle, il suo paese, Milano, la Spagna e ancora le Langhe quasi gli fossero connaturate, le Langhe o la loro gente? Chissà per quali analogie...!

Sottolinea egli con l'opera "Il Viaggio" che oggi possiamo in via del tutto eccezionale ammirare, essendo dono che Ravasio ha fatto alla Casa Museo del pittore Giuseppe Pellizza da Volpedo:" ho incontrato il pittore Pellizza in un tempo fuori dal tempo, in un luogo chiamato arrivederci, dove a primavera quei treni sfrecciano, i rossi di Venezia e i nostri amori ci legano...".

Ma se si va poco oltre, chiaramente non puoi tralasciare di cogliervi l'inquietante dilemma d'amore e di morte che fu di Giuseppe Pellizza e anche chiederci il perché della quasi personificazione di sé che Ravasio gli ha posto nello sguardo...!

Leggiamo sulla monografia: "Ricordi, sorrisi, sfumature e carezze " ma anche: "Tanto ho sognato la bellezza che il mio sguardo è pieno di bellezza ".

E' la bellezza che lui coglie dall'anima delle cose in un immaginario abbagliante di colori puri che egli ci ridà con i suoi toni dopo la metamorfosi realtà-meditazione in un divenire che non ci permette di annoiarci.

Mi ero soffermata davanti a certi suoi dipinti per cogliere sensazioni così amorose da sembrare quasi carnali quando l'occhio mi si posò su " Lunari nostalgie intimistiche ", con porte chiuse serrate a chiodi e l'intreccio di nuvole e volti che appena si affacciano, di ventagli che possono apparire lussuriosamente aperti ma che in realtà penso, cerchino invece di nascondere la parte d'anima di Ravasio.

Appaiono gatti accanto a storie di sorrisi, sguardi, sogni che in un connubio con la strada di poesia che porta alla Madonna del Castello di Ambivere e il giardino della sua casa anch'esso un quadro d'autore, dove la meridiana segna l'inesorabile procedere del tempo che in lui è l'anticipo della gioia che porterà il domani...!

Sempre una pittura nel rapporto " uomo-natura-anima " è forse per questo che il suo stile lo riconosci tra mille e non lo dimentichi più...!

                              

                                                 Elisa Plebani Faga

                                                  Aprile 1997

 

IL CIELO DI ANTALYA

Che cosa pensare? Hai uno strano modo di amare, tu che riaffiori, mi stuzzichi il cuore; possiedi un modo migliore di stuzzicarmi il cuore, di avvolgermi come una stella.

Mi parli da stella e l’universo è il tuo palcoscenico, tutto quel buio per darmi luce, una linea nel blu mentre il cielo passa, attraversa le nostre vite di attori consumati caduti nell’oblio di un sonno profondo...!

Non ridi più adesso che sai, conosci tutti i destini, nella tua mano ferma si accendono i fuochi di mille passioni, suonano organi ancestrali, ogni melodia l’ultima nota è forse quel tuo strano modo di amare...

Tu che attraversi con passo felpato il mio cuore, e intanto il cielo passa sopra Antalya e mi ricorda i tuoi grandi occhi, spiccioli traghettati nell’anima di viaggiatrice elegante...!

                                                                         Cesare Ravasio

                                                                           Luglio 1999

 

Cinque Terre

Quattordici luglio del duemila, davanti al muro del municipio di Riomaggiore, Cinque Terre, dipinto di pescatori e sirene; lo scatto fotografico sovrappone altri colori e altri visi al murale determinando un furto e un’addizione.

C’è una volontà precisa che guida il tempo che cambia e conduce alla via dell’amore, a picco sul mare di Colombo dall’orizzonte incurvato in un suggerimento geniale.

Cesare indovina nei colori altri suggerimenti di bellezza per le altre americhe da incorniciare.

Teme il sole per la borsa a tracolla ma non per il suo viso che espone avido di luce, eliotropio che ruota sullo stelo percorso dalla linfa del cuore.

                                                                                       Beppe Agosti

                                                                                      Luglio 2000

Cesare arte e colore nel mondo.

Se mi scopro un ragazzo in più penso a te per riscoprirmi nuovo, nel tempo che sorride nella vita di sempre.

Cesare, il mondo alla rovescia piccola, solare luna della meraviglia è in noi, in un acquazzone d’arte costante.

Cesare il tempo vibra in amore sulle ali di questa sera nasce un attimo di scrittura in me.

Sogna la poesia quando un pittore si dipinge nella morte del tempo.

Piccola poesia d’amore per un altro sogno infranto e una poesia in più per rivedere il sole.

Cesare, cos’è che non vuoi in questa amara solitudine. Un sorriso basta per nulla anche se l’esplosione non mi da niente.

                                                                                                          Icaro Ravasi

                                                                                                           Milano Brera.

                                                                                                          Maggio 2000

 

DATE A CESARE...

Andalusia è il tuo pane blu sugo di toro inforchettato dal depliant dell'anima intelata nell'imbuto degli occhi.

Deviati dalla curva delle basette si è tentati di definirlo così, nella maniera più sbagliata e frettolosa, invece lui è una ferita aperta sul lato di un mondo che ci aspetta...!

Languide Langhe abbandonate per l'Andalusia in un tradimento dongiovannesco improbabile e sotto il segno di agitazioni pittoriche.

Il plurale lasciato per il singolare mentre il cuore monogamo si ramifica nel desiderio islamico di un harem...!

Cantautori coperti di polvere e ragnatele, traspirano depressione nella notte, cantando dal cruscotto deodorizzato, anime dannate del pentagramma in esilio trovano un pò di requie in te che li ascolti sanguinando colori...!

Se il tuo desiderio è blu e Little Tony imita Elvis, la trinità delle basette si forma di repente in cielo...!

                                                                                                             Beppe Agosti

                                                                                                            Aprile 2000 

 

A BRUNO LAUZI:

…sfogliando il mare respiro le tue tracce,

i tuoi echi di poesia…!

l pittore Cesare Ravasio (che ha il suo atelier a Spotorno e che da anni collabora con la galleria “Noliarte” a Noli) ha voluto omaggiare la sig.ra Giovanna Lauzi, vedova del grande artista ligure Bruno Lauzi, con un dipinto che ricorda la sua figura

di musicista e poeta.

Lo ha fatto proprio in nome della profonda amicizia che li univa da circa trent’anni, ma forse dire amicizia non è sufficiente: era un feeling umano ed artistico a legarli, poi espresso o con parole e musica o su tela, una sensibilità che correva sulla stessa lunghezza d’onda “al margine tra realtà e follia” (come lo stesso Ravasio ha detto). Non a caso per il pittore lombardo di origine, ma ligure di adozione, Bruno Lauzi è sempre stato un’inesauribile fonte di ispirazione, come fosse la sua colonna sonora, ed ora che manca, Cesare Ravasio percepisce il senso di vuoto e di assenza di un uomo e di un artista. Bruno aveva addirittura inaugurato come ospite d’onore il suo atelier d’arte a Spotorno il 17 Dicembre 2005.

Il dipinto è stato presentato al Teatro Crystal di Lovere lo scorso Dicembre, durante una serata in sua memoria, a cui ha preso parte con un concerto anche Gino Paoli (un altro grande nome della musica d’autore della scuola ligure). L’opera è intitolata “A Bruno Lauzi: …sfogliando il mare respiro le tue tracce, i tuoi echi di poesia…!”. Parole che sono già lo specchio di una tela così ricca di simboli assemblati dalla verve cristallina di Ravasio.

…Un’onda del mare lava via la superficialità e porta in dono l’indelebile poesia, quasi a voler spargere i semi per una nuova era, fatta di delicate emozioni evanescenti, di colori e di musica. Eccola germogliare per incanto dalla spuma come una Venere: quel tubetto di colore, consumato dagli anni vissuti solo per l’arte, quelle note musicali che danzano sinuose sulle acque e gli attimi di intense sensazioni da catturare racchiusi in una delicata bolla d’aria danno vita alla morbida profondità acustica di un pianoforte, all’elegante penna stilografica che ha lasciato per tanti anni sul foglio la magia di Bruno: ora quella penna versa solo un inchiostro di lacrime. Un gabbiano, immagine di libertà e di ispirazione, si lascia trasportare dal vento per accompagnare il sorgere della nuova aurora di poesia eterea.

E la figura di Bruno prende forma vicino alla Lanterna della sua Genova, come un angelo che appare dal nulla, sullo sfondo di un’aura calda e solare da cui il suo volto sembra attingere luce di serenità spirituale.

Alla sua sinistra uno scorcio di notte ci ricorda purtroppo la sua scomparsa, ma è solo una breve illusione, infranta da un messaggio di speranza che due bandiere bianche affidano al vento: “ritornerai…”. Così recitava il titolo di uno dei suoi brani più famosi: è la sua stessa poesia che lo chiama, che lo cerca ovunque…

                                                                               Maria Mancuso,

6 Febbraio 2007

 

Un secolo fa nasceva Cesare Pavese; sett'anni fa Luigi Tenco.

Entrambi sono finiti suicidi.

A quarantadue anni il primo, a ventinove il secondo.

Si avverte, ora, un certo coraggio espressivo nel pittore Cesare Ravasio, nativo di Bergamo, perché i suoi dipinti nascono dalla lettura di Pavese e dall'ascolto delle poesie cantate di Tenco, suggestioni pittoriche tutte da decodificare.

Bisogna visitare sino al 18 maggio la mostra a S. Stefano Belbo presso la "Casa Natale Cesare Pavese" per comprendere l'anticonformismo di questo pittore, che dialoga con rabbia con le due morti.

C'è qualcosa di barocco in queste tecniche miste su tela, ricche di elementi simbolici.

Ogni quadro si riferisce a un particolare biografico dello scrittore o del poeta musicista.

Un fatto,una frase, un verso, Ravasio si scatena.

Impagina cose, oggetti, nulla è lasciato al caso.

Se a tutti i costi gli si deve fare dono di una parentela egli è un surrealista, a cui farebbe comodo, stilisticamente risolvere tutto nell'informale.

Ma per lui sarebbe una fuga.

È meglio esporre in vetrina la neve delle Langhe o un segno che ricordi Tenco.

Questa mostra rischiosa, perché sa evitare le vie della retorica, vuol essere un omaggio "a chi ha pagato con la vita il peso dell'inadeguatezza ", come scrive Cesare Ravasio in autopresentazione.

Ci si trova di fronte alle composizioni di un pittore che dialoga con se stesso.

Che non accetta che si possa rinunciare alla vita.

In effetti, è difficile trovare dei pittori o scultori suicidi, è più facile nel mondo letterario.

Come scrive Mario Dentone in catalogo, nei graffiti segnici di Ravasio, nelle tinte spesso forti, giocate su simboli e sogni,"si scruta l'irrealizzabile di quelle due utopie poetiche, che comunque non saranno mai sconfitte, forse mai realizzate ma che costringono a leggere e ascoltare comunque due straordinari poeti...! "

                                                                                         Paolo Levi

                                                                                  Maggio 2008

 

SORRIDO

Da questa casa, vedetta, scenario sul mare di Liguria, mentre osservo l'orizzonte che arriva fino a Portovenere, sorrido se penso a quello che diceva mio padre.

Probabilmente non scherzava (raramente lo faceva) quando un giorno di tanti anni fa mi disse: "Tu insisti a voler fare questo lavoro che chiami Arte, vedrai che il mestiere del pittore ti porterà sul lastrico e dovrai suonare ai citofoni per elemosinare un po’ di cibo...! ".

Povero papà, devo dire che non so se aveva ragione!

La mia sana testardaggine abbinata alla determinazione non mi hanno permesso di ascoltare nessuno e ho proseguito con il mio veliero in questo navigare spesso con il mare in tempesta, in questo viaggio che dura da 35 anni.

Sorrido...mio padre forse aveva ragione non so cosa penserebbe di me che ora i citofoni ( non lo farei mai per questione di stile e caratteriali) li dovrei suonare per riscuotere tutti i crediti che ho concesso ai miei collezionisti !

Sorrido...ma non importa, non sempre, ma ognuno di noi avrà quel che di più giusto merita e gli spetta !

Intanto medito incantato su questa linea di luce sul mare, e mi definisco un privilegiato quando mi dicono che sono un uomo libero e arrivato...!

...Sorrido... ma io so !Sono consapevole che sono arrivato nel punto da dove voglio partire...!

                                                    

                             Cesare Ravasio

                               Dicembre 2008